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IL 17 APRILE VOTIAMO Sì

Referendum No Triv: un sì per cambiare la politica energetica del governo

di Filippo Sestito, coordinatore nazionale Arci Ambiente, difesa del territorio, stili di vita
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Ci siamo. È partita la campagna referendaria per bloccare il rinnovo delle concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti da parte delle piattaforme marine entro le 12 miglia.

Venerdì, 18 marzo, a Roma il Comitato nazionale ‘VOTA Sì per Fermare le Trivelle’, che unisce circa duecento organizzazioni, ha inaugurato la campagna per il Sì al referendum del 17 aprile. Un Mare Nero è il titolo del flashmob che ha aperto la campagna VOTA Sì per impedire alle multinazionali del petrolio di sfruttare sine die le concessioni di cui già dispongono.

Dopo giorni di intenso lavoro, anche e soprattutto per i tempi strettissimi imposti dal Governo Renzi, si è messa in moto, in tutta Italia, la macchina organizzativa composta da tantissime associazioni grandi e piccole, da movimenti e comitati locali, dai partiti politici, oltre che dalle nove Regioni italiane che compongono il Comitato promotore del Referendum abrogativo sulle trivelle in mare: Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto.

Sarà essenziale, in questi ultimi 23 giorni di campagna referendaria, informare i cittadini italiani dell’esistenza del referendum contro le trivelle e aprire nel Paese un confronto pubblico, il più possibile partecipato, sulla Strategia Energetica Nazionale, nonostante il tentativo di oscurare l’esistenza stessa del voto da parte del Governo e dei grandi mezzi di comunicazione di massa.

Bisognerà, necessariamente e con urgenza, affrontare il problema della transizione energetica verso il 100% di produzione di energia da fonti rinnovabili, disegnando un modello democratico e di prossimità basato sull’efficienza e sul risparmio energetico. Così come lo stesso Governo si è impegnato a fare non più di tre mesi fa alla COP21 di Parigi.

Perché non discutere, allora, di aumentare significativamente, e da subito, gli oneri delle concessioni nazionali per l’estrazione delle fonti fossili che oggi sono irrisori?

Scandalosamente bassi anche rispetto a tutto il resto d’Europa.

Ci si chiede perché questo non sia avvenuto finora.

Del resto si sa da molti anni quanto sia alto il prezzo che pagano i territori interessati dalle attività di estrazione di petrolio e di gas in termini ambientali ed economici.

Non si può far finta di non sapere che i mari italiani sono mari chiusi e che un eventuale incidente nei pozzi petroliferi offshore o durante il trasporto danneggerebbe in maniera gravissima l’ambiente e l’economia, come ha, purtroppo, dimostrato l’incidente di pochi giorni fa avvenuto in Tunisia, non molto lontano da Lampedusa, ricoprendo di greggio tre chilometri di spiaggia.

Di questo e di altro si discuterà nei prossimi giorni. Di certo un risultato il Referendum ‘No Triv’ lo ha già prodotto: aprire una nuova e bella pagina di democrazia e di partecipazione, all’inizio di una importante e forse decisiva stagione referendaria che culminerà con la campagna per il No al referendum costituzionale.

L’Arci, come sempre, è in prima linea nella costruzione di forme di partecipazione democratiche e popolari e attraverso il coinvolgimento di tutti i circoli è impegnata a promuovere il Referendum del 17 aprile, invitando tutti a Votare Sì!

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Articolo

di Lino Salvatorelli, commissione Ambiente e stili di vita

Il referendum del 17 aprile  rappresenta il punto di arrivo di centinaia di vertenze e lotte che hanno coinvolto i territori oggetto di sfruttamento per produzione di idrocarburi, negli ultimi dieci anni.

Si può dire che tutto inizia in Abruzzo nel 2006, nel paesino di Tollo in provincia di Chieti, dove proprio al centro di vigneti e oliveti l’ENI voleva installare una raffineria gemella di quella tristemente famosa  di Vigiano in Basilicata. Da quel momento è iniziata un’attività di resistenza fatta di studio e coinvolgimento delle popolazioni e degli enti locali da parte di comitati cittadini spontanei con il supporto tecnico delle associazioni storiche nazionali, Arci, Legambiente, Wwf, Greenpeace, Italia Nostra  e altre.

C’è stata una costante attività di autoformazione su una materia sconosciuta per tanti, si è scoperto come per anni le compagnie petrolifere avessero imperversato in assenza totale di controllo spesso anche contravvenendo alle  poche regole vigenti.

Da questo percorso di formazione  sono scaturite centinaia di osservazioni tecniche alle richieste di concessioni, che spesso le hanno bloccate. L’allora ministra Prestigiacomo, sotto la pressione popolare e durante il disastro ambientale del Golfo del  Messico, fu costretta a varare nel 2010 un decreto che vietava le trivellazioni entro le 5 miglia dalla costa, 12 miglia nel caso di aree protette. Questo provvedimento bloccò diverse richieste di esplorazione e trivellazioni, perché fino ad allora non ci si era mai posto il problema delle estrazioni degli idrocarburi. Proprio per salvare i petrolieri  penalizzati da quel  decreto,  nel 2012 il ministro Passera partorì il famoso art. 35, che estendeva le 12 miglia a tutte le estrazioni, ma faceva salve tutte le richieste pervenute al Ministero prima del Decreto Prestigiacomo, recuperando così gran parte dei progetti che erano stati bloccati grazie all’azione costante e incisiva dei movimenti che ormai si erano sviluppati su tutto il territorio nazionale.

È in questo quadro che sono nate le richieste di referendum. Come si sa, dei sei quesiti  ne è sopravvissuto  solo uno dopo il provvedimento governativo che è riuscito a vanificare gli altri 5 per  evitare il giudizio popolare. Il quesito su cui andremo a votare ha però un alto valore simbolico. Infatti si chiede «può una compagnia petrolifera avere a vita la concessione per trivellare in mare o a questa concessione poniamo un limite?». È una questione che riguarda il concetto stesso di difesa dei beni comuni, e anche per questo al referendum bisogna andare a votare e votare Sì. Per la a prima volta i cittadini possono, attraverso il voto referendario, far pesare il proprio parere sulle scelte energetiche del Governo, ancora tutte incentrate sugli idrocarburi e assolutamente non in linea con le ultime decisioni della COP 21 di Parigi.

Bisogna raggiungere il quorum anche per difendere l’istituto referendario in sé.

L’Arci può e deve fare la sua parte, la sua capillare diffusione sul territorio può essere determinate per raggiungere il quorum.

Per questo voglio  invitare tutti i comitati territoriali e i circoli ad aderire ai Comitati referendari del proprio territorio e a contribuire affinché  le lotte dei comitati di questi ultimi dieci anni non vengano vanificate dal non raggiungimento del quorum.

Leggi anche l’articolo di Filippo Sestito, coordinatore nazionale Arci Ambiente, difesa del territorio stili di vita

Attivati per il SI’ al referendum del 17 aprile!

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